Liam Cimorelli Liam Cimorelli

Osteopatia, cosa cura?

L’osteopatia è una terapia manuale che utilizza delle tecniche di mobilizzazione, manipolazione e riequilibrio del corpo. Può andare a migliorare problemi muscolare e scheletrici che ci possono affliggere nella nostra vita quotidiana come il più che comune dolore al collo, utilizzando infatti l’osteopatia è possibile non solo migliorare la mobilità e la propria salute generale, ma si può anche andare a diminuire il dolore in maniera significativa a partire dal lettino di trattamento. Una prima visita osteopatica è completa di anamnesi con una raccolta dati sul problema, esaminazione posturale statica e dinamica, e per finire una valutazione funzionale del corpo. In questo modo si possono prendere le migliori decisione per l’impostazione del trattamento e anche eliminare possibili concause del dolore che andrebbero indagate meglio con il proprio medico.

Quindi rispondendo alla domanda l’osteopatia serve per poter curare il paziente, non solo il dolore, andando ad aiutare il paziente a ritrovare equilibrio con un miglior approccio alla propria situazione dolorosa. Nel trattamento si può anche includere degli esercizi e consigli per l’autogestione del dolore, l’obiettivo del trattamento dovrebbe sempre essere quello di riportare l ostato di salute e permettere al paziente di riprendere con le proprie attività e vita quotidiana, questo è possibile costruendo con il paziente un percorso terapeutico, con un inizio ed una fine in tempi il più breve possibile. Se hai ancora dubbi su come l’osteopatia può aiutarti per il tuo dolore non esitare a chiedere maggiori informazioni.

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Liam Cimorelli Liam Cimorelli

Come funziona il dolore e perché ho male?

Da che cosa è dato il dolore che ognuno molti di noi provano ogni giorno? Da dove origina e perché è importante comprendere come funziona il dolore?

Iniziamo dalla cosa più importante, cosa è il dolore? Beh il dolore lo conosciamo bene o male tutti quanti, almeno una volta nella vita per una caduta, uno sforzo o a volte apparentemente senza motivo ci siamo ritrovati a sentire questa sensazione spiacevole. Prima di entrare troppo nello specifico sulle cause di un dolore è meglio specificare una cosa che è importante ricordare, il dolore viene definito acuto se è presente da meno di sei mesi, altrimenti verrà definito come cronico. Adesso passiamo invece ad una domanda più complessa, come funziona il dolore?

Uno dei primi modelli che è stato utilizzato per comprendere e spiegare il dolore è stato il modello cartesiano, ideato dal filosofo Cartesio nel XVII secolo identificava il danno tissutale ed il sistema nervoso periferico come stazioni di partenza del dolore. Ancora oggi questo modello viene applicato per l’impostazione di piani di trattamento e gestione del dolore.

Il Modello cartesiano utilizzava questo disegno per rappresentare il funzionamento del dolore.

Il dolore secondo cartesio passava attraverso le fibre nervose per arrivare al cervello, superando i vecchi concetti di spiritualità legati al dolore.

Il problema di questo modello teorico è che nella realtà clinica non trovava alcuna conferma, ad oggi anche grazie alle moderne tecniche di screening abbiamo la possibilità di osservare la struttura in modo estremamente preciso, siamo in grado di identificare lesioni non visibili ad occhio nudo e di trattare alterazioni strutturali in molto specifico. La verità è che il dolore NON è correlato ad un danno tissutale! Questa è una cosa molto importante da capire, troppo spesso vengono incolpati singoli elementi per giustificare anni e anni di dolore, ed è esattamente questo processo diagnostico che porta il paziente ad inseguire esami e trattamenti fondati su un modello teorico incompleto.

Ok, adesso che abbiamo specificato la non relazione tra un danno tissutale ed il dolore possiamo parlare un attimo di effettivamente come funziona la percezione del dolore, il nostro punto di partenza è in realtà proprio il tessuto periferico, ma non possiamo più parlare di dolore, dobbiamo parlare di stimoli nocicettivi, potrebbe sembrare un piccolo scambio di parole ma nella realtà cambia completamente come comprendiamo il dolore. Dal tessuto grazie a dei recettori (chiamati nocicettori) partono degli impulsi che attraversano il midollo spinale fino a giungere al nostro cervello, è qui che questi segnali vengono decodificati e compresi dal nostro cervello per generare una risposta, ed è qui che entrano in gioco delle variabili importanti, questa interpretazione di segnali dalla periferia non è uguale per tutti, e questo perché tutti noi siamo diversi: le nostre esperienze di dolore pregresso, le nostre abitudini, le nostre credenze e il nostro atteggiamento verso il dolore insieme a tantissimi altri fattori cambiano come questi segnali vengono interpretati, e di conseguenza genereranno una risposta diversa in ognuno di noi.

Per convincervi di quanto sia influente il nostro cervello sul dolore vi propongo un semplice caso del 1995 (Fisher et al) pubblicato dal “British Medical Journal” nel quale un lavoratore di 29 anni saltando su un asse di legno accidentalmente è atterrato con il piede su un chiodo che ha trapassato da parte a parte lo stivale. L’uomo in agonia è stato portato in pronto soccorso dove è stato sedato e lo stivale è stato aperto, nello stupore dei medici presenti il chiodo non aveva minimamente perforato la pelle ma si trovava in mezzo alle dita dei piedi. Eppure l’uomo percepiva un dolore estremamente forte e reale, perchè? Il cervello del nostro fortunato paziente è stato ingannato dal contesto, ha raccolto le informazioni di ciò che è successo, ha visto un chiodo che passava da parte a parte lo stivale, ha sentito l’impatto con l’asse e i pensieri e le emozioni del momento hanno costruito una risposta adeguata alle informazione che aveva raccolto- hai un chiodo conficcato nel piede- generando un dolore estremamente reale ma che nulla ha a che fare con alcun danno al tessuto.

  • Alays F., Turner M., Connell D., (2007) ‘MRI findings in the lumbar spines of asymptomatic adolescent, elite tennis players’, British journal of sports medicine.41 (11): 836-841.

  • Fisher JP, Hassan DT, O'Connor N. (1995) Minerva.

  • Hoeger Bement M.K., Sluka K.A. (2008). ‘The current state of physical therapy pain curriculum in the USA: a faculty survey’, The journal of pain: official journal of the American pain society

  • Manchikanti L., Hirsch J.A. (2015). An update on the management of chronic lumbar discogenic pain. Pain Manag. 5:373-386

  • Melzack R. (2001). ‘Pain and the neuromatrix in the brain’, Journal of dental Education. 65: 1378-1382.

  • Moseley G. L. (2003). ‘A pain neuromatrix approach to patients with chronic pain’. Man Ther. 8(3): 130-140.

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  • Waddell G. (2004). The Back Pain Revolution, Second ed. Edinburgh, UK: Churchill Livingston.Wakaizumi, K., Yamada, K., Oka, H. (2017). Fear-avoidance beliefs are independently associated with the prevalence of chronic pain in Japanese workers. J Anesth. 31, 255–262

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